L’Italia Giusta incontra Pietro Grasso
È stato un evento speciale quello di ieri sera. Per questo lo avevamo voluto in un luogo simbolico di svolta e cambiamento, perché il tema della giustizia non è un tema qualsiasi. È il tema. Senza la riscossa civica e morale di questo Paese, non ci sarà crescita, non ci sarà lavoro, non ci sarà speranza. Abbiamo un estremo bisogno di quella che in ‘bersanese’ si chiamerebbe una lenzuolata sui diritti, un corpus organico di provvedimenti normativi finalizzati a ridurre lo spread di civiltà che ci separa dall’Europa. La riscossa morale e civica è la (pre)condizione per affrontare il cambiamento e le riforme di cui il paese ha bisogno. Questo è il senso profondo dell’idea di ‘Italia Giusta’. In campagna elettorale è certamente più redditizio in termini di consenso gridare, alzare i toni, gettar fango, anzichè avanzare proposte concrete. Ma il Paese non ha bisogno di sentirsi raccontare le favole, nè di ascoltare il festival delle promesse. Bisogna dire la verità. E allora cominciamo a dire la verità sul tema della giustizia. Non abbiamo un ‘problema magistratura’ in Italia. Abbiamo un ‘problema giustizia’. Inutile e dannoso per tutti cercare di nascondere il problema giustizia, creando un problema magistratura che trova facile sponda nelle polemiche tra i giudici. Non è con le dichiarazioni dei magistrati sui politici o dei politici sui magistrati che risolveremo il problema giustizia che riguarda ogni giorno la vita dei cittadini e delle imprese. Viviamo nella dittatura dell’emergenza, con una miriade di micro-interventi normativi che in questi anni hanno colpito scientificamente alcuni sistemi nervosi della macchina della giustizia. Il Presidente della Corte di Appello di Roma, Mario Santacroce, una settimana fa, in occasione dell’inaugurazione dell’anno giudiziario, ha affermato: ‘L’Italia ha il triste primato in Europa del maggior numero di declaratorie di estinzione del reato per prescrizione (130 mila quest’ultimo anno) e paradossalmente del più alto numero di condanne dalla Corte europea dei diritti dell’Uomo per l’irragionevole durata del processo’. Queste parole suonano come un grido di allarme sullo stato della giustizia, a cui la politica deve saper dare ascolto, ma anche risposte perchè la prossima legislatura sia l’occasione per le riforme. Ne emerge che il primo problema della giustizia in Italia è quello dell’impunità. Reati particolarmente diffusi come la corruzione (con una danno stimato in oltre 60 miliardi di euro) o particolarmente gravi come l’associazione di stampo mafioso rimangono impuniti per decorrenza dei termini. Tutto questo mentre le carceri si riempiono a dismisura di reati minori, determinando un sovraffollamento carcerario che costituisce una vergogna per l’Italia.
Nei primi 100 giorni le nostre proposte dovranno introdurre prioritariamente: una riforma della disciplina della prescrizione, una legge sul conflitto di interessi, il reato di falso in bilancio, il reato di autoriciclaggio, modifiche al reato sul voto di scambio politico-mafioso (416 ter), strumenti volti a favorire misure alternative alla pena carceraria (investendo sul lavoro nel carcere come passaporto per la libertà dei detenuti) e a contrastare l’abuso della carcerazione preventiva.
Ma ancora prima di andare al governo, ci sono molte cose che si possono fare. Prima di tutto, far sì che tutti i candidati sottoscrivano l’appello ‘Riparte il Futuro’, promosso da Libera e dal Gruppo Abele per siglare un patto di fiducia tra la società civile e la politica, in nome della trasparenza, con impegni comuni sulla lotta alla mafia ed alla corruzione. La riconciliazione tra la politica e la società civile non può prescindere da una rinnovata cultura della legalità che venga introdotta come codice genetico nella formazione delle nuove classi politiche, pensando soprattutto ai giovani.
C’è infatti una funzione repressiva che fa della lotta alla mafia una guerra di trincea, senza quartiere, perché nessuno pensi di esserne immune; ma c’è anche una funzione pedagogica, di prevenzione, che è lotta civica per infiltrare la cultura dello Stato in zone controllate dalla mafia, soprattutto al Sud. Far prevalere la cultura della legalità significa capire che i due capisaldi su cui investire sono la scuola, come presidio di legalità, e gli uffici giudiziari che in questi anni sono stati costretti ad una questua umiliante per chiedere personale e risorse.
Infine, un accenno al tema di cui sui media si parla tanto, troppo, spesso a sproposito: la partecipazione dei magistrati in politica. In questi giorni sono stati tirati in ballo anche i nomi dei giudici Falcone e Borsellino che sarebbe doveroso tenere fuori dalla contesa elettorale per mantenere davvero fede alla loro lotta. D’altra parte, spesso nel qualunquismo si accomunano situazione diverse. Diversa è la situazione di chi si è dimesso dalla magistratura, con una scelta sofferta e dolorosa, da quella di chi si è messo in aspettativa, peraltro obbligatoria per legge. Forse, è il caso di ricordare che la legge prescrive che i magistrati candidati, anche se non eletti, non possono più operare con le stesse funzioni nei distretti compresi nelle circoscrizioni elettorali nei quali sono stati candidati. Intelligenti pauca. Questo proprio perchè non ci sia neanche la più minima ombra di dubbio sulla loro indipendenza, imparzialità e terzietà. Perchè un giudice non deve solo essere terzo. Deve anche apparire terzo.
Ascoltando le parole del Procuratore Grasso ieri sera riecheggiavano in me parole note. Parole care. Ha raccontato la storia di chi non vuole tradire il bambino per l’uomo. Il bambino era quel sogno di chi, da piccolo, giocava a ‘tana libera tutti’ e che, ormai diventato grande, ha scelto di continuare a combattere la sua guerra di trincea, non più da fuori, ma da dentro il sistema. Per cercare di cambiare le cose. Non ho motivo di dubitare del fatto che neanche la famiglia sapesse davvero per chi ha votato in tutti questi anni. È questa per noi è la più grande garanzia che nel suo compito perseguirà sempre il bene comune e l’interesse generale.
Un grande giurista come Piero Calamandrei amava dire che il magistrato, nel momento delle sue scelte, è un uomo solo. Deve essere un uomo solo. Penso di poter interpretare il sentimento di tutte le persone che affollavano la sala di ieri, guardando gli occhi lucidi che avevo davanti a me, per poter dire che nel suo nuovo ruolo politico, in questa sua nuova avventura, caro Procuratore, nella nuova trincea della lotta alla mafia in cui ha deciso di continuare a combattere, lei non sarà più solo.
Questa è l’Italia giusta. Perchè il nostro sarebbe un Paese più bello se fosse più giusto.
4 Febbraio 2013