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Il reddito di cittadinanza alla prova dei fatti

di Marco Lombardo
IL REDDITO DI CITTADINANZA ALLA PROVA DEI NUMERI

Aver istituito una misura per il reddito minimo garantito è sacrosanto.

Avveniva già in quasi tutti i Paesi d’Europa, tranne che in italia ed in Grecia.

Il reddito di solidarietà era stato già istituito nel 2016 in Emilia-Romagna e successivamente in Puglia sotto forma di reddito di solidarietà (RES).

Tardivamente, nel 2018 il Governo di centrosinistra era intervenuto, introducendo una misura universale contro la povertà, come il reddito di inclusione (REI).

Il reddito di cittadinanza (RDC), introdotto dal Governo giallo-verde, ha alzato a 9.360€ la soglia di ISEE del reddito del nucleo familiare, allargando la platea dei potenziali beneficiari.

Dovremmo forse dire che non è una decisione giusta solo perché era la norma bandiera del M5S? O perché l’hanno chiamata reddito di cittadinanza e non RES o REI?

Se non usciamo dalla contrapposizione a prescindere e non entriamo nel merito dei problemi non riusciremo mai a crescere come sistema Paese, come fanno in Germania.

Le critiche semmai non devono andare alla forma dell’atto, ma alla sostanza.

I primi numeri (invero, parziali) ci dicono che nell’area metropolitana bolognese che, è bene ricordare, ha il tasso di disoccupazione più basso d’Italia (oltre al tasso di occupazione femminile più alto d’italia), le richieste valutate finora sono state 5.618. Circa un terzo dei potenziali beneficiari che avevamo stimato.

Di queste, 3.387 sono state le domande accolte e 2.103 quelle respinte ( 37%), con 128 pratiche sotto esame.

Questi numeri ci dicono che sarebbe ingeneroso parlare di flop, ma che la richiesta è oggettivamente più bassa delle aspettative del Governo. Del resto, è tutto da verificare che chi abbia ottenuto il semaforo verde all’erogazione del beneficio, lo riceverà nella sua forma massima (780€) ovvero in forme ridotte come sembrano suggerire alcune auto-dichiarazioni dei cittadini.

Piuttosto sarebbe interessante sapere quali sono i motivi di diniego.

Il timore è che siano stati esclusi dal RDC alcuni cittadini residenti a Bologna che, pur trovandosi in condizioni di bisogno in quanto disoccupati di lunga durata, non rientrano nelle condizioni previste dalla normativa (es. italiani senza fissa dimora, giovani e donne under 35 che vivono con i genitori, immigrati che non hanno la certificazione catastale dei paesi di origine, cittadini europei residenti a Bologna da meno di 10 anni).

Un secondo punto critico riguarda il metodo.

Per capire se il RDC si configura come una misura assistenziale di sostegno al consumo (come sostiene l’opposizione) o come una misura di politica attiva del lavoro (come sostiene il M5S) dovremo aspettare la fase 2.

La riforma pare essere figlia della fretta di far arrivare in tasca i soldi agli italiani prima delle elezioni del 26 maggio. Prima andavano fatti gli investimenti sui centri per l’impiego e sul personale dei servizi, prima andavano assunti e formati i navigator e poi si poteva partire con l’erogazione del reddito di cittadinanza. Non viceversa.

I famosi navigator (dai 6.000 iniziali) saranno 3.000, assunti da Anpal servizi.

A Bologna saranno circa 40. Il navigator che dovrebbe essere il responsabile del matching per offrire occasioni di lavoro ai beneficiari del RDC non è un procacciatore di lavoro.

E’ un assistente tecnico di chi lavora nei centri per l’impiego.

E’ ormai chiaro ed evidente che non saranno operativi prima di settembre perché andranno selezionati e formati.

Senza dimenticare che manca ancora Il software unico e l’incrocio delle banche dati.

Qui c’è il fraintendimento più critico della norma sul RDC. Non esistono imprese che vogliono assumere una persona che non conoscono solo sulla base dell’incrocio fatto dai navigator e solo per beneficiare di una riduzione del costo del lavoro. Nessuno si mette in casa un lavoratore che non conosce. Perché il Governo non consente che i Comuni possano intervenire sul matching e non solo nella redazione dei progetti comunali di pubblica utilità previsti dal patto di lavoro? A Bologna l’incontro tra i bisogni delle persone ed i bisogni delle imprese riusciamo a farlo meglio che nel resto d’Italia. Non c’è bisogno di andare in Mississippi per vedere come si fa il matching aziendale. Basta venire a Bologna e vedere progetti come Insieme per il Lavoro, sostenuto dalla Curia, dal Comune, dalla Città metropolitana, dal board delle imprese e dalle organizzazioni sindacali.

Lasciateci lavorare insieme ai navigator per trasformare una misura di sostegno al consumo in un incentivo per l’assunzione dei disoccupati di lunga durata.

In conclusione, l’errore culturale è quello di schiacciare il tema del lavoro al reddito. Il lavoro non è solo reddito. E’ dignità. E’ possibilità di contribuire al progresso materiale della società, come prevede la nostra Costituzione.

Il reddito da lavoro (quando non è inferiore ai minimi previsti dai contratti collettivi nazionali) rende autonomi e liberi; non il reddito di cittadinanza.

Marco Lombardo

(Assessore al lavoro del Comune di Bologna)

Cfr. Articolo su Repubblica

Articolo sul Corriere

Articolo sul Resto del Carlino

26 Aprile 2019

© Marco Lombardo 2016