Europa e diritti civili. Incontro con Sergio Lo Giudice
Incontriamo il senatore Sergio Lo Giudice, Membro della 2ª Commissione Giustizia e della Commissione straordinaria per la tutela e la promozione dei diritti umani, al caffè La Linea in un freddo pomeriggio di maggio. Tema dell’incontro i diritti civili. Abbiamo deciso di affrontare insieme a lui tre questioni che riteniamo cruciali: il diritto di cittadinanza per i nati in Italia da genitori stranieri, le unioni civili tra persone dello stesso sesso e la condizione dei carcerati in Italia.
In questo periodo si fa un gran parlare di ius soli e in effetti quello dell’acquisizione della cittadinanza per i minori “stranieri” nati in Italia è un problema grave, da risolvere quanto prima. Proprio per l’importanza del tema, non dobbiamo dimenticarci di essere un paese appartenente all’Unione Europea, nella quale parlare di ius soli puro non ha molto senso. Basti ricordare il passo indietro fatto dall’Irlanda (unico paese europeo all’epoca ad applicare lo ius soli) nel 2004 a fronte della sentenza della Corte di Giustizia europea (causa C-200/02, Chen).
Sergio Lo Giudice ci spiega che il PD ha presentato diverse proposte di legge sulla cittadinanza (anche se, ovviamente, in un governo alleato con il PdL la centralità del tema è scemata). Tra le proposte presentate, una è a firma Bersani e, sintetizzando al massimo, prevede l’ottenimento della cittadinanza per chi nasce in Italia da genitori regolarmente residenti da almeno cinque anni, oppure per chi arriva in Italia entro i dieci anni e conclude un ciclo scolastico (scuole elementari, medie o superiori) o un percorso di formazione professionale. Al Senato la proposta di legge è a firma Casson e prevede l’ottenimento della cittadinanza per chi nasce in Italia da genitori stranieri che risiedono regolarmente nel nostro paese da almeno 5 anni. Sembra che alla Camera siano pensabili maggioranze trasversali, mentre al Senato la situazione pare più complicata. Senza contare che il tema dello jus soli ha di fatto spaccato in due il Movimento 5 Stelle. Le proposte purtroppo non sono ancora state calendarizzate, ma la speranza è che sull’argomento si possano trovare maggioranze variabili su quello che rimane, a normativa vigente, problema di (in)civilità per un Paese che ha fino ad ora impostato il tema in modo ideologico, fondando la sua politica sulla paura del diverso, anzichè sull’integrazione come unione nella diversità.
Per quanto riguarda il riconoscimento giuridico delle coppie dello stesso sesso, l’Italia è uno dei pochi paesi rimasti a non aver legiferato sull’argomento. Come ci spiega Lo Giudice, persino in Gran Bretagna il governo conservatore sta lavorando per introdurre il matrimonio per le coppie dello stesso sesso, nell’idea che, essendo il matrimonio fonte di stabilità sociale, più si estende meglio è per la società. “I don’t support gay marriage in spite of being a conservative. I support gay marriage because I am a conservative” ha affermato David Cameron.
Nella maggior parte dei paesi europei esiste un riconoscimento per le unioni civili delle coppie dello stesso sesso, mentre in Italia tutti i tentativi (più o meno timidi) in questa direzione sono naufragati. Anche su questo tema esistono diverse proposte di legge, sia alla Camera che al Senato. Quella presentata da Lo Giudice propone di estendere la possibilità di matrimonio anche alle coppie di persone dello stesso sesso. Da troppo tempo si tergiversa sulla questione e quindi a suo parere è ora di una svolta decisa. Visto dalla prospettiva europea, la sensazione è quella di un Paese accerchiato: ormai persino i conservatori europei sembrano più progressisti di noi, incapaci di riconoscere nell’amore (senza ulteriori aggettivi) la forza naturale sulla quale si fonda una famiglia.
Per quanto riguarda invece le carceri, sappiamo ormai che la realtà nella quale versano i detenuti in Italia è quella di una violazione strutturale dei diritti umani. A Bologna la situazione è drammatica, anche se meno esplosiva di tempo fa. Pensata per 400 persone, la Dozza ne ospita almeno 800, ma più spesso 1200. Non è casuale la recente sentenza di condanna della CEDU nei confronti dell’Italia.
Le soluzioni che vengono solitamente prospettate, in modo piuttosto semplicistico,vanno dall’indulto di fronte alla situazione esplosiva alla costruzione nuovi edifici.
Dalla nostra discussione è invece emersa la necessità di una considerazione più ampia sul sistema carcerario italiano, ad esempio sulla percentuale altissima di detenuti in attesa di giudizio e su una revisione della legislazione penale che finisce per riempire le carceri di tossicodipendenti e immigrati irregolari. Su 60.000, circa 15.000 detenuti potrebbero usufruire dei domiciliari o di misure alternative alla pena detentiva. Bisognerebbe quindi intervenire su diversi fronti: ad esempio cambiare legge Fini-Giovanardi sulle droghe e la legge Bossi-Fini che ha introdotto il reato di clandestinità, e poi cambiare meccanismo “sliding doors” e la legge ex Cirielli sulla recidiva. Al contempo bisognerebbe intervenire in maniera molto più convinta e creativa sulla reinserimento dei detenuti nel mondo del lavoro. E’ ormai stato ampiamente dimostrato come il lavoro con i detenuti consente l’abbattimento della recidiva nell’ordine del 70%. Il lavoro è il vero passaporto per la libertà dei detenuti.
Ecco, credo che per ripensare il sogno europeo, per renderlo reale, sia necessario ripartire proprio da qui, dalla vita delle persone, da progetti e soluzioni articolati, in modo da rendere credibile l’Europa dei diritti che vogliamo, e che troppo spesso ancora non c’è.
30 Maggio 2013