Crisi La Perla: Al fianco delle lavoratrici e di un marchio storico bolognese.
La vicenda delle lavoratrici de La Perla e il tema della tutela dell’azienda e della salvaguardia del sito produttivo è al centro delle attenzione della amministrazione comunale di Bologna e come assessore al lavoro sono vicino alle lavoratrici che stanno affrontando questa situazione così complicata e difficile.
Le domande che sono state poste durante il Question Time del 5 luglio, nella trasversalità rispetto ai gruppi appartenenza, individuano un interesse comune a tutto il Consiglio comunale rispetto a questa vicenda. Per rispondere alle domande e offrire elementi di ragionamento sull’esito del tavolo e del confronto che c’è stato in Regione, mi sembra opportuno fare una breve premessa sulla storia del marchio e poi spiegherò nelle conclusioni del mio intervento, perché è importante parlare della storicità di questo marchio.
La Perla, è un marchio che affonda le sue radici già nel 1945, nel laboratorio di confezioni di Ada Masotti che allora si chiamava L’Ape e che nel 1954 prende il nome di La Perla. Ada Masotti era considerata una donna dalle forbici d’oro, proprio perché si occupava innanzitutto di confezionamento, prima ancora di muovere i primi passi nella sartoria. La Perla ha ridisegnato negli anni il concetto di intimo e lusso, ridisegnando l’idea di femminilità che tenesse insieme la libertà e eleganza. Negli anni La Perla ha seguito l’evolversi non solo della moda, ma anche dell’emancipazione femminile, basta guardare i modelli degli anni ’50, degli anni ’60 e degli anni 70 per rendersi conto come non si offriva solo un’idea di lusso e di eleganza, ma si offriva un’idea di libertà per le donne. Gli anni d’oro di La Perla coincidono con gli anni in cui l’azienda è stata gestita da Alberto e Olga Masotti, sono gli anni ’80 anni, in cui La Perla arriva ad avere fino a duemila dipendenti e ad affermarsi come marchio di lusso in tutto il mondo. Dal 2007 la famiglia Masotti fa una scelta, decide di vendere il marchio al fondo americano JH Partners, con l’idea di non essere più in linea, anche per l’età che avanzava dei proprietari, rispetto all’interpretazione del femminile e della moda femminile. Sono anni in cui si passa sostanzialmente dalle duemila lavoratrici dipendenti del periodo d’oro, ai 450 dipendenti nel sito produttivo bolognese, ricordando che c’è un altro sito produttivo in Portogallo. Sono anni di fatica, perché viene avviata la cassa integrazione, si parla del rischio di fallimento e nel 2013, dopo un’asta difficile il marchio viene comprato da Silvio Scaglia, proprietario di Fastweb, che fa un investimento importante ne La Perla, decide di potenziare la linea di retail e non solo di intimo, ma di ready to wear, cioè di prodotti in qualche modo legati all’abbigliamento non solo di corsetteria, lingerie o underwear.
La società continua ad avere perdite ed è il motivo per il quale nel 2017 si arriva alla trattativa per la cessione, che all’inizio sembra essere orientata verso un fondo cinese, il fondo Fosun e che invece anche qui con una storia molto accelerata nella tempistica della trattativa, arriva l’acquisizione da parte di un fondo anglo olandese che è quello di Sapinda e nell’agosto dell’anno scorso viene nominato come amministratore delegato Pascal Perrier.
Dal giorno della nomina dell’amministratore delegato, abbiamo subito chiesto di incontrare il management nuovo di La Perla, proprio perché abbiamo espresso preoccupazione, da un lato rispetto alla salvaguardia del sito produttivo e alla tutela del marchio, dall’altro alla tutela dei posti di lavoro e quindi delle lavoratrici. Non abbiamo mai avuto risposta rispetto alla nostra disponibilità a incontrare l’azienda. Anche nell’occasione di incontro che ho avuto in Regione, ho sempre espresso stima personale e professionale nei confronti di Pascal Perrier, è un uomo che ha legato la sua vita al recupero di brand di lusso: Burberry, Gucci, Yves Saint Laurent, sono tutti brand internazionali legati al lusso che hanno intrecciato le loro vicende con le attività di Pascal Perrier. In quell’occasione, Pascal Perrier ha esordito dicendo di avere profondo rispetto per il tavolo, che in quel caso coinvolgeva le parti istituzionali, il Comune e la Regione con la presenza dell’assessore Palma Costi e le organizzazioni sindacali. Nel mio intervento ho ribadito che esprimere rispetto per quel tavolo avrebbe dovuto comportare il primo passo: il ritiro delle 126 lettere di licenziamento che erano partite venerdì. Se vogliamo intavolare una discussione con le istituzioni, non possiamo arrivare quando le cose sono già stati fatte e i problemi sono stati creati.
Mentre sotto le finestre degli uffici risuonavano i fischi delle proteste delle lavoratrici che aspettavano di sapere qualcosa non solo rispetto alla loro vita professionale, ma alla loro vita quotidiana, poiché stiamo parlando di lavoratrici altamente qualificate nel settore del tessile, che hanno dedicato la loro intera esistenza a questo marchio e che meritano rispetto da parte di tutti noi e in particolare da parte della proprietà. Ho proposto questa idea di ritirare, perché in questo caso non esiste la sospensione della procedura di mobilità, ma solo il ritiro delle lettere di licenziamento, che avrebbe comunque comportato la necessità di concertare con le parte dei tagli da fare, perché siamo assolutamente consapevoli che l’azienda così non sta in piedi. Nel 2018 è un’azienda che ha avuto 70 milioni di euro di perdite e le imprese non possono non stare nel mercato e quindi devono avere una solidità anche dal punto di vista finanziario, ma si può scegliere di fare una riduzione dei costi in tanti modi. Quello che ho chiesto personalmente, insieme alle organizzazioni sindacali e insieme alla Regione è questo: se vogliamo ridurre i costi, perché non partiamo dalla linea di retail, perché non partiamo dai costi improduttivi, perché non partiamo da tutti quei costi che non riguardano la linea di produzione, che non riguardano l’esistenza stessa dell’azienda e dell’impresa.
Ci sono uffici di retail in tutto il mondo molto costosi che producono delle perdite, capisco che si voglia lasciare comunque in alcuni casi questi uffici perché serve a dare respiro internazionale al brand, ma non capisco quando non si può valutare, prima di intervenire su delle riduzioni del costo del personale di progettazione, di prototipazione della linea di azienda, che sono altri tipi di costi. Così come è condivisibile l’idea dell’azienda di concentrare la propria attività industriale sul core business, cioè sulla lingerie, sulla corsetteria e sull’underwear, rispetto alla linea del ready to wear che è stata fallimentare per l’azienda ed è stata una scelta strategica sbagliata della gestione precedente. Ma quando noi andiamo a vedere le qualifiche delle 126 persone che sono destinatarie delle lettere di licenziamento, vediamo che all’interno c’è una parte importante del futuro dell’azienda, perché riguarda proprio la progettazione, la prototipazione, la fabbricazione e la produzione. Allora questo ci preoccupa, perché ci preoccupa l’idea che questo possa essere solo l’avvisaglia di una possibile difficoltà più grande dell’azienda che possa portare anche in qualche modo alla svendita del marchio. Allora qui c’è l’invito anche al Governo, so che oggi, 5 luglio, partirà una lettera della Regione per chiedere l’intervento del Mise e in particolare del Ministro del Lavoro e dell’economia Di Maio.
Il problema in Italia non è tanto fare leggi, ma farle rispettare: esiste una nuova normativa entrata in vigore proprio a giugno del 2019, la conversione dell’ex Decreto crescita, che parla della tutela dei marchi storici. Se noi vogliamo difendere non solo i marchi, i brevetti, la proprietà industriale rispetto alla contraffazione, ma anche il modo italiano di fare le cose, il modo italiano di produrre, il know-how italiano nella produzione, dobbiamo capire che oggi il settore del tessile è schiacciato da due opposte forze. Da un lato la fast fashion, la moda a basso costo, quella che utilizza materiali scadenti, quella che in qualche modo cerca di fare una competizione soprattutto sul prezzo, in maniera non sostenibile, né dal punto di vista ambientale, né dal punto di vista economico, né dal punto di vista sociale, perché quella riduzione dei costi significa meno attenzione alla tutela dell’ambiente e meno attenzione ai diritti dei lavoratori. Dall’altro lato, il rischio è che alcuni marchi, sedi non individuano una strategia aziendale ben definita, possano essere oggetto di compravendite soprattutto da parte di fondi di investimento che sono interessati più a una operazione finanziaria che non ad un’operazione industriale relativa alla produzione e alla salvaguardia dell’attività produttiva. Allora, se vogliamo difendere veramente questo tipo di attività, quello che dobbiamo fare è fare sistema tra le istituzioni, fare sistema evitando le delocalizzazioni industriali.
Non ha senso tutelare il rispetto dei marchi agroalimentari, se non tuteliamo anche i marchi che rappresentano la storia del nostro tessuto industriale e produttivo. Esiste un fondo appena costituito sui marchi storici, esiste una normativa che vuole difendere i marchi storici, bene è il caso oltre a fare l eleggi di applicarle, è il caso che il Ministro ci convochi e capiamo insieme quali sono gli strumenti che possiamo mettere a disposizione delle lavoratrici, dell’azienda e anche di questo management aziendale, per far sì che il rischio di un eventuale impoverimento produttivo dell’azienda non porti poi una svendita del marchio.
Io confido che il piano previsto da Pascal Perrier possa nel volgere di breve portare a non produrre perdite, ma chiediamo che questo piano abbia investimenti precisi, una tempistica regolare che sia verificata, concertata con le organizzazioni sindacali, con le rappresentanze delle lavoratrici e con le istituzioni. Chiediamo di capire come costruire un’interlocuzione, non è possibile che sia passato un anno senza un’interlocuzione, non accetteremo che passi un altro anno rispetto a questo tipo di interlocuzione, che deve essere un monitoraggio continuo ed è il motivo per il quale stiamo cercando di contattare e contatteremo il management aziendale ogni giorno, perché vogliamo essere informati giorno dopo giorno su quello che succede.
Dall’altra parte dobbiamo dare una risposta anche a queste lavoratrici che in questo momento vedono messa in discussione la loro professionalità, la loro capacità produttiva, la loro capacità reddituale e anche la loro vita, la loro esistenza, il loro essere dentro una società, che hanno bisogno di non essere lasciate da sole. Credo che questo tipo di riflessioni, al di là dell’amarezza e della solidarietà dovuta, necessaria per tutte le lavoratrici, ci imponga una riflessione seria che dobbiamo fare dal punto di vista della tutela dei siti produttivi e della politica industriale del nostro Paese, perché da soli, come realtà locali sia a livello di Amministrazioni pubbliche, sia a livello di Regioni, non possiamo farcela, ma se ci muoviamo tutti come sistema coinvolgendo anche il Governo nazionale la tutela dei marchi storici, la tutela del Made in Italy come aspetto identitario della nostra storia nazionale ha un valore fondamentale rispetto alla nostra capacità di stare nel mondo come paese produttivo.
Se noi perdiamo questo, non abbiamo futuro; se noi non capiamo che da questo tipo di salvaguardia passa la nostra prospettiva occupazionale e produttiva, non avremo capacità di incidere rispetto a un’economia globale che, è evidente, guarda a noi soprattutto rispetto alla qualità che riusciamo a produrre; ma se non innoviamo, se non difendiamo poi anche questo rischia di venir meno nella prospettiva del tempo. Mi auguro che l’azienda e il management de La Perla risponda alle nostre sollecitazioni, chieda un confronto e concerti di più le proprie strategie aziendali con le rappresentanze dei lavoratori e delle lavoratrici, con le organizzazioni sindacali e con le istituzioni e auguro, e auspico, che il Governo si concentri soprattutto su queste tematiche: lavoro ed economia, perché abbiamo bisogno di risposte e abbiamo bisogno di agire anche in fretta.
Se vuoi guardare il mio intervento durante il Question Time, clicca qui:
7 Luglio 2019