Cosa può insegnarci la tragedia greca?
Cosa può insegnarci la tragedia greca?
(pubblicato da Marco Lombardo il giorno venerdì 17 dicembre 2010 alle ore 11.14)·
Solo pochi mesi fa la Grecia ha fronteggiato una crisi economica e finanziaria senza precedenti arrivando sull’orlo della bancarotta. Ancora meno tempo fa, la stessa sorte (seppur per motivi diversi) è toccata all’Irlanda. Sono passati solo pochi mesi. Eppur sembra siano passati anni. Questa è una condizione tipica dell’era contemporanea: essere voraci di notizie, ma essere condannati all’eterna quotidianità, senza memoria storica e con un senso di angoscia verso il futuro. Per questo vorrei tornare un attimo indietro di qualche mese: per affacciarmi con serenità alla finestra del domani. La ‘tragedia greca’ ha dimostrato che lo scudo dell’euro è penetrabile (anche) perchè non si può slegare la politica monetaria da quella fiscale ed economica senza pensare di dover pagar dazio. Gli speculatori hanno capito che alla scadenza dei titoli di Stato – quando ormai è chiaro che uno Stato non può più onorare il proprio debito sovrano senza ricorrere al mercato ovvero senza ricorrere ad un aiuto esterno – conviene puntare sui CDS (credit default swap) che sono swap assicurativi sul rischio default di un Paese. Mi perdonino gli economisti per la metafora sportiva ma – per intenderci – è come lo scommettitore che sapendo degli infortuni nella rosa punta sulla sconfitta di una squadra. Questo fa crescere i tassi di interessi sul debito rendendolo ancora più oneroso e creando un vortice di disordine finanziario che porta lo Stato sull’orlo della bancarotta. E’ colpa degli speculatori, degli squali della finanza perchè dovrebbero pensare alle conseguenze delle loro azioni sulle persone? Forse. Ma è inutile e demagogico prendersela solo con gli speculatori: è il mercato baby direbbe qualcuno. E’ toccato alla Grecia. Poi all’Irlanda. Toccherà presto al Portogallo. Poi alla Spagna. Quindi all’Italia. Li chiamano P.I.I.G.S. Great Piigs se aggiungiamo la situazione del Regno Unito che però, avendo capito la minaccia, sta mettendo in atto il più grande piano di ristrutturazione del debito pubblico con tagli della spesa che non si vedevano dai tempi della Thatcher proprio per evitare che tutto ciò accada. E l’Italia? Siamo fermi. ‘I conti sono in ordine.. I cittadini non si preoccupino di queste cose.. Anzi, non ne parliamo proprio altrimenti destabilizziamo la fiducia dei mercati..’ Come se i mercati avessero bisogno di noi per sapere come stanno davvero i nostri conti e la nostra economia. Basta guardare l’andamento degli ultimi mesi dello spread (il differenziale in termini di punti base) tra i titoli italiani ed i bund tedeschi per capire a che punto siamo nella parabola della crisi. Che fare dunque? Possiamo stare fermi sul ponte a guarare i cadaveri passare in attesa che tocchi il nostro turno o possiamo cominciare a prepararci alla tempesta. Perchè un temporale che arriva lo puoi prevedere, ma non lo puoi fermare: se lo prevedi prima però puoi correre ai ripari. Certo, puoi scappare all’estero in attesa che passi; in molti stanno facendo così, o pensano di farlo. Altri credono invece che sarà la solita storia: tanto rumore per nulla. Prima o poi l’Europa ci salverà: impossibile. Un costo di salvataggio di oltre 800 miliardi di euro non è sostenibile per l’UE. In questo molti analisti e politici hanno ragione: non siamo come la Grecia. E’ vero.. Ma per l’esatto contrario. Il nostro fallimento costerà molto di più di quello greco (circa 80 miliardi di euro cifre alla mano).. Si, ma allora? quali ripari? I nostri problemi sono strutturali: bassa crescita, bassa competitività, popolazione ferma e vecchia, divario di sviluppo tra Nord e Sud. Insomma, la solita lista che sappiamo come l’avemaria e che ci sentiamo raccontare da quando siamo piccoli. Le nostre virtù (ingegno, fantasia, risparmio delle famiglie, sistema bancario solido) questa volta però temo che non basteranno.. Questo lo sguardo sul (recente) passato; affacciamoci un attimo sul (prossimo) futuro. Il disagio giovanile della protesta studentesca è un segnale di risveglio, ma confuso: sappiamo che il nostro futuro è stato svenduto, sappiamo che soli pochi di noi soddisferanno le aspettative dei nostri genitori, ma ci illudiamo che i soldi siano finiti da qualche parte. Magari ad ingrassare i caveau di qualche banca, o della criminalità organizzata, o della classe politica corrotta. La verità è che i soldi non ci sono più. Non ci sono più semplicemente perchè la nostra ricchezza si è spostata altrove.
E allora?
E allora quel segnale di risveglio deve imporci la maturità di classe che chi ci ha preceduto ha dimostrato di non avere. Non riavremo indietro il nostro futuro (scordiamoci il posto fisso, la pensione e la 14ma) ma almeno potremo restituirlo ai nostri figli.
Ci aspettano (ancora?) anni di lacrime e sangue ma se avremo l’entusiasmo di far rialzare un sistema in ginocchio, allora e solo allora ‘l’avremo fatta ‘sta rivoluzione’..
Perchè possiamo continuare a ragionare sui tagli al welfare come ad un club in cui per ammettere qualcuno dentro bisogno far uscire qualcuno fuori (e in questo in/out l’immigrazione sarà sempre l’eterno giochino che si ripeterà come un mantra ad ogni scadenza elettorale) oppure possiamo tirare una riga, fare i conti, registrare che il risultato è un valore negativo, capire dove abbiamo sbagliando e ridisegnare un nuovo modello di sviluppo economico e sociale, sperimentando nuove forme di tutela dei lavoratori (non del lavoro come hanno maldestramente fatto i sindacati in tutti questi anni), di energia (generazione distribuita), di sicurezza sociale (patti tra le generazioni). Con alcune parole semplici ma forti: fiducia, autonomia, responsabilità.
I segni di questa crisi li stiamo già intravedendo. Quando capiremo che non è solo il tramonto di una classe politica ma la fine di un intero sistema, forse, sarà troppo tardi. Perchè quando smetteremo di avere l’alibi del berlusconismo saremo condannati a fronteggiare i veri problemi strutturali che abbiamo sepolto sotto il tappetto da tanto tempo.
Prepariamoci dunque alla tempesta, ma con un’avvertenza: ‘se vuoi costruire una barca, non radunare uomini per tagliare legna, dividere i compiti e impartire ordini, ma insegna loro la nostalgia per il mare vasto e infinito’.
E’ l’entusiasmo che muove un Paese fermo: la rabbia distruttiva finisce molto presto e lascia solo macerie dietro di sè.
E’ la fiducia di un popolo che si rimette in cammino, che sa raccogliere la sfida, che sa condividere un obiettivo comune, che vuole rialzarsi per costruire un futuro migliore. Quando lo fece il governo Ciampi dimostrammo al mondo che, se volevamo, eravamo ancora in grado di farlo. Sembrano passati secoli. Ma erano solo pochi anni fa.
In conclusione: la tragedia greca ci insegna che ogni singolo cittadino può essere Cassandra.
Ma Omero ci aveva già insegnato che dentro ognuno di noi, da qualche parte, vive un Ulisse.
30 Maggio 2012