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Sulla vicenda “Mercatone Uno”

di Marco Lombardo

La situazione del fallimento della Shernon Holding (ex Mercatone Uno) coinvolge 443 lavoratori dell’Emilia-Romagna di cui 200 nell’area metropolitana di Bologna e si articola in 55 punti vendita, tra cui la sede logistica di San Giorgio di Piano e la sede amministrativa di Imola.

Allargando il tema anche ai 500 fornitori che risultano direttamente coinvolti dal fallimento, la situazione economica di Mercatone Uno rischia di riguarda oltre 10.000 persone. Senza contare che il tema tocca gli interessi dei creditori e dei consumatori finali che hanno pagato per mobili di arredamento che non vedranno mai nelle loro case.

Al di là della barbaria con cui è stata comunicata la chiusura dell’attività ai lavoratori attraverso i social network. Al di là dello stucchevole balletto di responsabilità della politica. Al di là delle polemiche strumentali. Cosa si può e si deve fare oggi per i lavoratori, i fornitori, i creditori, i consumatori finali?

Quali sono le priorità e le urgenze da perseguire?

Certamente un tema centrale è quello di riuscire a mettere in campo, ed è quello che ho fatto sin dal primo istante di questa vicenda insieme all’amministrazione comunale, tutte le azioni possibili che possano cercare di rendere meno pesanti e onerose le conseguenze per chi in questa vicenda rappresenta la parte più debole e fragile della vicenda: le lavoratrici ed i lavoratori.

Proprio per tale motivo come amministrazione comunale, ci siamo impegnati a tracciare una road-maps per identificare la azioni che i soggetti preposti a tale vicenda, primi fra tutti i Commissari avrebbero dovuto compiere antecedentemente. E’ stato fondamentale presupposto per garantire la continuità, quella di avere la retrocessione del compendio aziendale che consentisse un esercizio provvisorio dell’attività e l’attivazione degli ammortizzatori sociali. Ma per fare questo era decisiva la presentazione di un’istanza agli organi competenti per tale fattispecie. E allora perché un Ministro del Lavoro, come Di Maio, è potuto andare i giorni successivi alla chiusura sui media, chiedendo celerità al Tribunale di Bologna, senza che fosse stata fatta istanza? E perché nessuno dall’altra parte è riuscito a controbattere, inchiodandolo alle sue responsabilità di governo? E’ questo il nostro dovere: tutelare le parti più deboli e difendere la verità.

Il Tribunale fallimentare di Bologna non aveva il potere d’ufficio per decidere sulla retrocessione, come più volte e impropriamente richiesto dal Governo nazionale. Bisogna fare chiarezza e ribadire che tale istanza doveva essere fatta dai commissari straordinari e doveva prioritariamente essere messa in campo già nelle primissime ore di tale vicenda, per riuscire ad attivare tutta una serie di tutele a partire dall’attivazione degli ammortizzatori sociali.

Dopo avere richiesto ai soggetti competenti di compiere le azioni necessarie a sbloccare la fase di stallo nella quale avevano fatto precipitare la situazione, siamo giunti come amministrazione comunale a raccogliere dei primi – significativi, ma non ancora sufficienti – risultati per i lavoratori della Mercatone Uno. In particolare, il 15 giugno, in un incontro con l’attuale presidente dell’INPS, Pasquale Tridico, il tema affrontato e concordato è stato quello dello sblocco del TFR per i lavoratori della Mercatone Uno, attraverso una circolare con un’interpretazione estensiva che riuscisse a dare loro ossigeno in questa fase critica.

Un secondo passaggio importante è stata l’attivazione di un Fondo di crisi, da parte della Regione Emilia-Romagna, per alleviare le difficoltà dei lavoratori rispetto alla morosità incolpevole, nel caso di mutui ed affitti da pagare, in attesa che vengano erogati gli ammortizzatori sociali per la tutela ed il sostegno del reddito dei lavoratori.

Con la nomina dei nuovi commissari straordinari si apre ora una nuova fase per la salvaguardia del patrimonio produttivo e sulle prospettive occupazionali dei lavoratori.

C’è ancora molto da fare, per restituire dignità e prospettiva ai lavoratori della Mercatone Uno: ma loro, come tutti i soggetti coinvolti nei tavoli di crisi aziendali della nostra città, sanno di poter contare sull’impegno costante dell’amministrazione comunale. Il compito e la responsabilità di chi si occupa di lavoro, tanto nelle amministrazioni locali quanto nei livelli di governo nazionale, non è farsi selfie con i lavoratori elargendo vaghe promesse e vuoti proclami. Il nostro compito è quello di monitorare continuamente i tavoli di crisi, evitando che i rischi vengano scaricati sempre sulla parte più debole. Certamente non si guadagna in popolarità, lavorando nell’ombra. Ma si guadagna in credibilità ed in fiducia verso le istituzioni.

Video link con risposta al Question Time, chiarimenti sulla situazione dei lavoratori del Mercatone Uno – Comune di Bologna – Ufficio Stampa

“Grazie Presidente. Ringrazio molto la consigliera Montera per aver posto questa questione che è stata oggetto di ampie discussioni anche nei media nazionali per il clamore della vicenda e soprattutto per le modalità barbare con le quali i lavoratori, i fornitori e i clienti hanno avuto notizia del fallimento. Mi soffermerò brevemente sul tema delle responsabilità che è stato appena accennato, giustamente, dalla consigliera, perché la nostra priorità è quella di ascoltare le preoccupazioni dei lavoratori innanzitutto del territorio bolognese e dei fornitori perché come prima veniva ricordato, 500 fornitori coinvolti significano 10.000 lavoratori dell’indotto. Sul tema della responsabilità sapete che già in altre occasioni in quest’aula ho detto che bisogna essere equilibrati nel riconoscere che ci sono state responsabilità a più livelli. Il Mercatone Uno è entrato in fallimento, in amministrazione straordinaria, dal 2014 e il precedente Governo aveva fatto tre aste, attraverso i commissari precedenti. Tre aste erano andate deserte. A maggio 2018 prima della chiusura definitiva si era presentata come acquirente la holding Shernon, che al suo interno aveva tra l’altro diversi soggetti, ed era stata firmata la vendita, che poi è stata perfezionata dalla firma del ministro del Governo successivo, ma la situazione in qualche modo era di responsabilità del Governo precedente, con due condizioni: da un lato, una iniezione di liquidità e, dall’altro, una clausola di riserva della proprietà in caso di mancato investimento, proprio perché evidentemente già al tempo si aveva qualche dubbio sulla solidità del gruppo.

Cos’è successo in un anno? In un anno, 12 mesi, è successo che la società ha assunto 90 milioni di debiti. Significa più di 6 milioni di euro di debito al mese. Allora, è evidente che, se da una parte c’è stata quella che avremmo definito una “culpa in eligendo”, dall’altra parte c’è stata sicuramente una “culpa in vigilando”. Perché in 12 mesi, a fronte di una perdita economica così rilevante, avendo la possibilità i commissari di vedere la situazione di cassa dell’azienda, non si capisce come non sia stato fatto valere l’inadempimento! Come mai non sia stata utilizzata la clausola di riserva della proprietà! Come mai non si sia utilizzato il tempo per cercare evidentemente nuovi compratori, perché la decisione del Tribunale di Milano a quel punto era diventata inevitabile!

Ciò premesso, vi invito a riflettere su questo punto. La questione della responsabilità politica di questo Governo e del Governo precedente in quale modo cambia adesso la situazione dei lavoratori? Nessuno.

Ecco perché la nostra preoccupazione deve avere a mio avviso presente tre aspetti: la prima cosa è la garanzia della continuità del reddito. Perché in questo momento questi lavoratori non solo non hanno un reddito, ma non hanno neanche gli ammortizzatori sociali. Non hanno neanche la cassa integrazione. Seconda cosa: chiedere l’esercizio provvisorio e quindi avere una retrocessione della decisione all’amministrazione straordinaria che è presupposto per poter chiedere anche l’applicazione degli ammortizzatori sociali ed è presupposto per cercare di vedere se esistono nuovi acquirenti. Perché dalla chiusura delle serrande quest’azienda rischia di non riprendersi più! Ogni giorno che quelle serrande sono chiuse, l’azienda perde credibilità; perde valore il marchio e diventa più difficile trovare nuovi fornitori e nuovi acquirenti. C’è stato un tavolo regionale al quale ho partecipato, promosso dall’assessora regionale alle attività produttive Palma Costi, che ha visto il coinvolgimento delle organizzazioni sindacali e degli amministratori, sindaci e assessori, dei 55 punti vendita che esistono nel nostro territorio dell’Emilia-Romagna, nei quali lavorano più di 400 lavoratori di cui 200 solo nel nostro territorio, con punti vendita ma anche con punti di logistica come quello di San Giorgio di Piano, o punti amministrativi come quello di Imola. Ora, io credo che sia fondamentale, è un presupposto per garantire la continuità, garantire innanzitutto il tema del reddito ma anche una possibilità di riapertura dei punti vendita, quella di avere la retrocessione dell’amministrazione straordinaria che consente un esercizio provvisorio dell’attività. Ma per fare questo è fondamentale che si faccia un’istanza. Il Tribunale fallimentare di Bologna non ha il potere d’ufficio per decidere sulla retrocessione. E allora questa istanza chi la deve fare? La devono fare i commissari straordinari individuati dal Mise e a loro chiedo: è stata fatta questa istanza al Tribunale di Bologna o no? Perché se non è stata fatta non ha alcun senso che il Ministro del Lavoro chieda l’intervento del Tribunale con celerità. La domanda è stata posta dal curatore fallimentare individuato dal Tribunale di Milano? Con l’autorizzazione del giudice delegato del Tribunale fallimentare perché la decisione è stata fatta dal Tribunale fallimentare di Milano? Queste istanze sono state poste oppure no? Se non abbiamo una consapevolezza di questo, è inutile chiedere un’accelerazione al Tribunale di Bologna. E ci dobbiamo rendere conto che questa è una cosa da fare immediatamente, perché se non si retrocede all’amministrazione straordinaria, tutto quello di cui parliamo è un presupposto che non potrà mai verificarsi. E allora che cosa rimane che può fare un’amministrazione locale, un tavolo come quello regionale? Quello che può fare è innanzitutto ascoltare i lavoratori, ed è per questo che lunedì ci troveremo alla Camera del Lavoro con dei parlamentari del territorio, che ringrazio, e con chiunque voglia ascoltare i lavoratori e le organizzazioni sindacali su questa vicenda. Perché quello che si deve fare in questo momento è ascoltare i lavoratori. La seconda cosa da fare, e la Regione lo sta facendo, è mettere sul piatto il tema della formazione perché evidentemente se non si risolve quel tema avremo un problema di qualificazione e di occupazione per questi lavoratori.”


https://www.youtube.com/watch?v=fz89scn20g4

14 Giugno 2019

© Marco Lombardo 2016