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Sicurezza del lavoro ai tempi del Coronavirus

di Marco Lombardo

La sicurezza del lavoro è un’emergenza strutturale del nostro Paese.

Prima del Coronavirus. Oltre il Coronavirus.

Durante l’emergenza del Coronavirus, il tema della sicurezza nei luoghi di lavoro si arricchisce di un nuovo elemento: la mancanza di mascherine e di dispositivi individuali di protezione.

L’impreparazione del sistema produttivo italiano alla crisi che stiamo attraversando si può riassumere nello slogan “L’Italia non si ferma” e nelle sue declinazioni territoriali (da “Milano non si ferma” in giù, lungo tutto lo stivale). Siamo incapaci di fermarci. E’ un’incapacità culturale. Mentale. Siamo tesi all’azione, più che al pensiero.  Senza capire che ogni qual volta in questi giorno abbiamo deciso di ritardare il fermo produttivo delle attività non essenziali abbiamo finito per ritardare la “ripartenza” economica e sociale.

In controtendenza rispetto all’opinione pubblica generale, il mantra che vado ripetendo, sin dallo scorso 4 marzo, è sempre lo stesso: “Prima ci fermiamo, prima ripartiamo”. Consapevole di quanto il fermo produttivo sia drammatico per il nostro tessuto economico del nostro territorio che viaggia con -80% di ordini e fatturato. Consapevole però che non sono solo le persone che fanno jogging nel parco ad essere “taxi” di contagio; sono le persone che lavorano a costituire un pericolo per il veicolo del contagio nei luoghi di lavoro, se non vengono garantiti standard e protocolli di sicurezza che assicurino il distanziamento.  

Il Governo con il DPCM dello scorso 23 Marzo ha stabilito il fermo produttivo per le imprese che non rientrano nelle filiere strategiche previste dall’Allegato I o nelle attività funzionali alle attività economiche essenziali.

Come si può garantire la sicurezza nei luoghi di lavoro nelle aziende che continuano a rimanere aperte? Se allarghiamo lo sguardo a chi ha già attraversato la crisi in Cina, ad Hong Kong e Singapore, vedremo che le aziende hanno continuato a lavorare, rimodulando le attività produttive attraverso i piani operativi di continuità (POC). Alcune grandi aziende italiane che avevano contatti con quei Paesi l’hanno già fatto da tempo. Altre lo stanno facendo. Le piccole imprese rischiano di essere quelle più impreparate. L’accordo tra Governo e parti sociali sulla sicurezza è una buona base di partenza, ma bisogna incrementare le attività di controllo e monitoraggio. Per questo ho raccolto con favore l’invito di alcuni parlamentari di avviare tavoli territoriali sulla sicurezza del lavoro, a partire dall’area metropolitana di Bologna.

Come garantire il lavoro a distanza per le aziende che non rientrano tra le attività essenziali? Attraverso le modalità del lavoro agile o del lavoro a distanza. Finalmente, anche l’Italia ha “scoperto” lo smart-working. Ci voleva una pandemia per adeguarsi ad una cosa che già nel resto del mondo facevano al 10% (la media italia pre-covid19 era del 2%).

Non è mai troppo tardi: a patto che lo smart-working sia fatto seriamente e non sia semplicemente concepito come lavoro in remoto da casa, ma come una modalità di esecuzione della prestazione lavorativa e di organizzazione dell’attività di impresa che comporti un cambio del paradigma culturale orientato al raggiungimento di obiettivi condivisi, che rispetti la privacy, che tenga conto del diritto di disconnessione dei lavoratori, e di altre cose importanti che sono frutto di conquiste dei diritti nel mondo del lavoro. Chi volesse avere buone pratiche su lavoro agile può iscriversi al Tavolo Smart-Bo che portiamo avanti come Comune di Bologna, insieme al Dipartimento Pari Opportunità del Governo ed a decine di imprese del territorio bolognese, da ben prima dell’emergenza Covid19

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(Per ridere un pò sui rischi “smart working straordinario” in emergenza Covid19, vi consiglio di guardare il video di Giovanni Scifoni)

Come far avere mascherine e dispositivi di protezione individuale per chi lavora? Partiamo da un punto essenziale. La migliore misura di protezione dal contagio è restare a casa e rispettare le regole. Poi c’è chi a casa non ci può restare. Non parlo solo di medici, infermieri e personale sanitario. Parlo anche di operatori della logistica, cassiere dei supermercati, dipendenti pubblici che svolgono servizi pubblici essenziali, volontari impegnati nell’assistenza domiciliare, farmacisti, operatori dell’accoglienza e delle carceri, forze dell’ordine e amministratori locali. Mi fermo qui, ma l’elenco sarebbe lungo ed andrebbe esteso a tutte le attività essenziali e di pubblica utilità che stanno tenendo in piedi il Paese. Queste persone devono avere mascherine e dispositivi di protezione individuali. Per loro, in attesa che la Protezione Civile abbia la disponibilità di forniture di mascherine sufficienti per coprire tutto il fabbisogno, a partire dal personale medico e sanitario, abbiamo previsto un sistema interno di autoproduzione di mascherine chirurgiche (monouso e riutilizzabili) attraverso la riconversione produttiva delle aziende del territorio (in particolare, del settore tessile) e la collaborazione dell’Università di Bologna per effettuare i test di validazione e di certificazione previsti dalla normativa. Hanno aderito al Protocollo del Comune di Bologna, le organizzazioni sindacali, il laboratorio di validazione dell’Università di Bologna, ed alcune imprese del territorio metropolitano per garantire una capacità produttiva di 50.000 mascherine chirurgiche riutilizzabili ad un prezzo convenzionato di 1,50 centesimi di euro a prodotto. Per saperne di piu: http://comunicatistampa.comune.bologna.it/2020/coronavirus-il-territorio-fa-squadra-per-produrre-mascherine

Un consiglio: evitate di fare in casa “mascherine fai da te”. 

(Video-intervista andata in onda sul TG3 dello scorso 18 Marzo)

Dalla nostra esperienza territoriale sarebbe molto utile, per accelerare e semplificare la procedura: a) che le Regioni individuassero nei capoluoghi di provincia, l’ente certificatore, e che si impegnassero a sostenere le spese di produzione e validazione sostenute dalle imprese riconvertite, nonchè il rimborso al costo del lavoro delle imprese convertite; b) che il Governo rendesse “open” il disciplinare di produzione delle mascherine e dei dispositivi di protezione individuale e modificasse la normativa per consentire il sistema di validazione territoriale con un controllo a posteriore di ISS ed Inail, anzichè il sistema di autocertificazione delle imprese previsto dall’art. 15 del Cura Italia. 

Non abbiamo tempo da perdere. Altrimenti la burocrazia rischia di allentare l’efficacia della nostra misura di reazione. 

Ultimo punto. Forse il più importante. Quando sarà passata l’emergenza, speriamo il più presto possibile, non dimentichiamoci la sicurezza nel lavoro. Non si tratta di ripartire. Si tratta di capire che c’è un prima ed un dopo rispetto a quello che stiamo affrontando. Che può succedere di nuovo. E che non possiamo più farci trovare impreparati.

Investire sulla sicurezza del lavoro è la più importante forma di autotutela che abbiamo per il nostro futuro. .

 

 

 

31 Marzo 2020

© Marco Lombardo 2016